cosa sento?

cosa voglio?

cosa posso fare per realizzarlo?

mi soddisfa?

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Questo, in Gestalt, si chiama 'ciclo del contatto' ed è il cuore del lavoro che il paziente fa in terapia


domenica 7 settembre 2008

Narrazione, terapia e libertà


"La libertà è però a portata di mano di chiunque: si chiama responsabilità, cioè scelta nelle infinite opzioni comportamentali di quella che è la direzione voluta, assunta a proprio rischio e pericolo"
[P. Quattrini]

Partiamo dall'assunto che l'essere umano fonda il proprio senso di esistenza sull'attività narrativa della sua mente. Ognuno di noi costruisce il senso della propria vita attraverso il racconto ininterrotto che di essa fa, a sè stesso e agli altri, dal giorno della nascita fino a quello della morte. Per sentirci integri, coesi, unici seguiamo il bisogno naturale di raccontare la nostra storia e di farcela raccontare, in vari modi, da qualcun altro.

In questo senso parliamo di esistenza narrabile. (vedi A.Cavarero, Tu che mi guardi, tu che mi racconti, Feltrinelli)
Un’esistenza narrabile è sempre un’esistenza libera, possiede cioè infinite possibilità di realizzazione, infinite versioni del proprio realizzarsi. ‘Assumere’ una versione tra le infinite che abbiamo a diposizione, scegliere una direzione piuttosto che un'altra vuol dire servirci di quanto è disponibile per raggiungere ciò che desideriamo. Questo fa di noi degli uomini e delle donne vivi, consapevoli e responsabili. In ciò manifestiamo ed esprimiamo la libertà di cui siamo dotati per natura. Non sempre ci riusciamo, altrimenti non esiterebbe la nevrosi, eppure questa è la direzione, profondamete umana, in grado di renderci migliori, farci sentire bene, dare valore alla nostra esperienza della realtà.

Questa posizione di scelta e pratica della libertà implica sempre l’assunzione di un rischio poichè in ciò che è possibile non c’è mai niente di garantito. Nessuno di noi può conoscere a priori sè stesso e quello che gli accadrà. Si possono fare delle ragionevoli stime, ma per quanto solerti e accurate siano non colmeranno l'imprevedibile. Eppure, solo in questo modo, con un brivido di timore a fior di pelle, dicendo “sì”, approfittiamo della libertà di cui godiamo.

La terapia della gestalt ad orientamento fenomenologico elegge questo senso del vivere a pratica terapeutica, e l'approccio narrativo lo assume ancor più fondandosi interamente sulla terapia come intreccio di metafore e creazione di storie.
Con la terapia narrativa viviamo nel flusso naturale del fare storie, nel flusso della nostra storia, quella che in quel momento ci appassiona, ci interessa, quella in cui crediamo pur non vedendola ancora per intero (impossibile, altrimenti sarebbe già conclusa).

E’un lavoro attraverso il quale si diventa via via consapevoli delle scelte e dei costi. In questo modo andiamo in cerca della libertà e la sperimentiamo.

In un setting terapeutico, entrare in un racconto, fare un racconto, identificarsi con i personaggi del racconto ha il senso di aiutare ad intravedere le alternative, le opportunità rispetto alla soffocante e ristretta visuale che viene normalmente adottata, e che così condiziona i movimenti del presente.

Detto in altre parole: narrare squaderna la mente. Prepara all’espressione, allena all’azione, e in gestalt diventa vero e proprio teatro in cui intraprendere gesti, atteggiamenti, muovere passi in direzioni inconsuete, insomma un palcoscenico sul quale si prova a cambiare per migliorare il proprio vivere.
Lavorare con la narrazione di storie significa lavorare per promuovere la libertà narrativa della persona (che coincide in fondo con la libertà tout court), e in ultimo significa fare di questa libertà il fondamento del cambiamento.
E’ un importante cambiamento di prospettiva in terapia, come afferma Quattrini:

“Non è il destino che ci fa diventare quello che siamo, ma la nostra capacità di scegliere, ossia di gestire l’organismo psicofisico. E’ quello che si chiama libero arbitrio […] il concetto di libero arbitrio è fondamentale. La psicoterapia affonda la sua operatività proprio nel libero arbitrio, specialmente quella appoggiata su un’ottica fenomenologica esistenziale.
Qui il significato del passato cambia: non può più essere considerato un fattore che determina il presente in modo meccanico, ma una base da cui si parte per ricostruire narrativamente le vicende di una persona. Non si richiede perciò un’analisi oggettiva di ciò che è accaduto: diventa centrale la verità narrativa e non quella storica.” [P.Quattrini,
Fenomenologia dell'esperienza, Zephyro, 2007)

Si tratta di inseguire un piano di volontà e di desiderio piuttosto che un piano di verità e di ragioni, e significa compiere un passaggio difficile dalla certezza che incolla i piedi al terreno conosciuto all’indeterminatezza carica di tensione nella quale si può finalmente prendere slancio.
Credo sia di grande aiuto a compiere questo passaggio accettare di svuotarsi, accettare il silenzio interiore senza tentare di riempirlo, creare spazio interno il più possibile depurato di auto-accuse, di giudizi, di facile moralità. Questo allenamento, che la pratica di meditazione ad esempio rende possibile (vedi C.Naranjo, La via del silenzio, la via delle parole, Astrolabio, 1999), permette di ‘scendere’ ad un livello di consapevolezza, prima di tutto sensoriale e percettiva, che rimette in circolo le spinte vitali. Non credo sia facile accettare di vivere nel cambiamento (sebbene sia l’unica vita sana possibile) dato che si parte, usualmente, da una grossa sottostima della nostra mutevolezza.
Nel buddismo si trovano testimonianze di tutt’altro avviso:

“Come dice Daisaku Ikeda: ‘nel Buddismo si insegna che la mente di ognuno fluttua ottocentoquaranta milioni di volte al giorno. Le alterazioni della nostra vita sono, in altre parole, infinite. La propria vita è una successione di esempi momentanei di caldo, freddo, dubbio, piacere, tristezza, e altre condizioni”
[R.Causton, I dieci mondi, Esperia, 2006]

La consapevolezza che la vita cambia di momento in momento e che l’instabilità, malgrado segua un ciclo riconoscibile, è condizione naturale, non eccezione, ha in sé un valore di grossa portata. Personalmente, avverto questa condizione come qualcosa di liberatorio. Non occorre più affannarsi tanto per mantenere lo status quo, il minimo che soddisfa una vita di sicurezza e protezione.
Tornando alla narrazione, l’esercizio di scrittura, di composizione poetica, di co-costruzione di storie come molti altri strumenti di tipo artistico-narrativo segnano l’esperienza di apertura, sperimentazione e cambiamento direttamente connessa con l’esperienza della libertà.
Sono dell’avviso che dalla libertà interiore alla libertà relazionale, arrivando sino al livello delle battaglie civili per la libertà, il salto non sia poi così lungo.
Si tratta di affinare la percezione poetico-metaforica che abbiamo di noi stessi e della realtà che abitiamo.


"Tentare di comunicare sensazioni e non solo concetti…stabilire nuovi rapporti e nuovi riferimenti…
…disorientare; per permettersi di orientare nuovamente, in modo possibilmente autonomo, mediante la propria attitudine, con maggiore e rinnovata consapevolezza; al fine di conquistare, per scelta, non solo spazi di pensiero ma anche luoghi di vita meno dipendenti rispetto a modelli di produzione e di consumo dominanti…
…portare le cose al di fuori dei luoghi per le quali sono state create…
Io cerco più la suddivisione delle responsabilità, che significa che chi era abituato a fare poche cose deve aumentarle, e viceversa, quelli che gestiscono molto potere dovrebbero fare un passo indietro. Si tratta di far assimilare equilibri diversi…"
[Raffaello Pallone, Legata alle mie ali, Il Filo, 2007]

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Psicoterapia della Gestalt ad orientamento fenomenologico esistenziale

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